Ringrazio il giornalista Pietro Cusati per il suo articolo pubblicato oggi su Il quotidiano di Salerno. L’ho letto con molto piacere, apprezzandone la sintesi efficace ed illuminante attraverso la quale il dottore Cusati è riuscito a cogliere il senso di profonda stima e riconoscenza che mi lega (e ci lega) al compianto professore Pasquale Petrizzo. Come ho avuto modo di scrivere nel mio articolo sul primo numero della nuova edizione di Erò, il professore è stato e continua ad essere per me un importante punto di riferimento umano e professionale. Per questo, non lesinerò impegno ed entusiasmo affinché la rivista da lui fondata ritorni ai fasti di un tempo. Grazie ancora, Pierino!
Negli anni Novanta del secolo scorso, nel Vallo di Diano in provincia di Salerno si pubblicava “Le pagine di Erò”, mensile di informazione e cultura. Quando, alcuni mesi fa, mi è stato proposto di collaborare alla rivista “Erò - meraviglie di un territorio”, nuova edizione del vecchio mensile, ho accettato con piacere. Io mi occupo di narrativa, ma da sempre subisco il fascino della scrittura, in tutte le sue forme. Mi sono avvicinato ad una nuova realtà, quella dell’informazione, con molta umiltà, restando con i piedi per terra; ma anche con tanto entusiasmo e voglia di fare bene. Fin da subito ho trovato interessante il progetto editoriale che mi è stato proposto; fin da subito ho condiviso le idee della direttrice Mariana Cavallone e di tutta la redazione. Ci siamo confrontati, abbiamo discusso, ci siamo prefissi degli obiettivi, com’è giusto che sia. E così, passo dopo passo, siamo giunti alla presentazione del primo numero della rivista che si è tenuta mercoledì 30 giugno alle 18:00 presso la Corte della Spezieria della Certosa di San Lorenzo a Padula. Giovedì primo luglio, invece, “Erò - meraviglie di un territorio” è stato distribuito gratuitamente in tutte le edicole della provincia di Salerno come allegato al quotidiano “La città”.
LO SCORSO ANNO HO INCONTRATO I RAGAZZI DELLA SCUOLA MEDIA DI POLLA (SA), ISTITUTO OMNICOMPRENSIVO STATALE IC-IPSS, ED HO PARLATO LORO DEL PIACERE DELLA LETTURA E DEI SEGRETI DELLA SCRITTURA CREATIVA. UN'ESPERIENZA DAVVERO MOLTO BELLA.
DI SEGUITO, IL TESTO DEL MIO INTERVENTO.
Ciao ragazzi!
Mi chiamo Pasquale ed oggi vi parlo di lettura e di scrittura creativa. Prima di cominciare volevo farvi alcune domande.
A quanti di voi piace leggere?...
Qual è il libro che vi è piaciuto di più? E perché vi è piaciuto?...
Bene, adesso vi faccio un’altra domanda: che cos’è, secondo voi, un libro?
Il libro è come una scatola: voi la aprite e dentro che cosa trovate? Oggetti?... No, ragazzi. Dentro ci trovate storie.
Ora: le scatole sono grosse se devono contenere tanti oggetti, piccole se devono contenere pochi oggetti. Allo stesso modo, i libri sono grossi se le storie che raccontano sono lunghe, sono piccoli se invece le storie che raccontano sono corte.
Non solo: come le scatole possono avere colore diverso, così anche i libri, a seconda del tipo di storia che trattano, sono definiti con un colore diverso: giallo, nero, rosa.
Insomma, i libri possono essere di tutti i tipi, però ognuno contiene sempre qualcosa. Non sono mai scatole vuote e se avrete la curiosità di aprirli, ogni volta farete scoperte incredibili.
Ma un libro di cosa è fatto? Di carta, certo. C’è una copertina, spesso ci sono delle immagini. Però, prima di tutto, un libro è fatto di parole. E le parole cosa sono? Sono un insieme di lettere. L’alfabeto italiano contiene 26 lettere: si parte dalla A, si passa alla B e così via fino ad arrivare all’ultima lettera, la Z. Sembra impossibile, eppure mettendo insieme queste lettere in tutte le loro possibili combinazioni si formano parole; e mettendo insieme le parole che lo scrittore sceglie vengono fuori le storie. Pensate: non è fantastico? In questo modo nascono libri che hanno centinaia di pagine. E tutto utilizzando soltanto 26 lettere!
Quando leggete un libro è come se un omone grande e grosso vi afferrasse con le sue mani e vi portasse in un altro posto, magari in un altro tempo ed in mezzo a gente che non conoscete. Ma voi non andate da nessuna parte: voi continuate a rimanere nel posto in cui vi trovate. Il viaggio che fate è nella vostra mente. Voi immaginate. E questa è un’altra magia che si realizza grazie alla lettura. Questa, è la forza delle parole. Quando andate al cinema o seguite un film in televisione voi vedete con gli occhi. Quando leggete un libro, invece, voi vedete con la mente: vedete il posto dove accadono gli eventi, vedete i personaggi della storia e tutto ciò che fanno. Sembra che loro siano là, ad un passo da voi: discutono, litigano, scherzano o piangono. Ascoltate quello che si dicono, e che cosa scoprite? Che le loro storie vi coinvolgono, vi interessano; che fate il tifo per questo o quel personaggio, che c’è chi vi è simpatico e chi proprio non lo sopportate. Girate subito le pagine che state leggendo perché volete sapere cosa succede dopo. E quando la storia finisce e chiudete il libro, sentite che già vi manca qualcosa. Cosa? Vi manca l’atmosfera magica che si creava ogni volta che vi mettevate a leggere. Vi manca quel mondo parallelo dove quell’omone grande e grosso vi portava. Vi mancano i personaggi che nel frattempo vi erano diventati familiari. Con molti di loro siete stati bene, avete trascorso momenti piacevoli, un po’ come capita quando d’estate andate in vacanza. Conoscete ragazzi di altre città e molto diversi da voi. Ci fate amicizia, la sera uscite a passeggiare e spesso nascono pure delle storie d’amore. A chi non è capitato di vivere un amore estivo? Ad ogni modo, quando la vacanza finisce ognuno ritorna a casa e questo vi dispiace.
Come facciamo a capire se un libro ci è piaciuto?
Un libro ci è piaciuto se dopo averlo letto ci sentiamo un po’ cambiati, se guardiamo il mondo in un modo po’ diverso. Un libro ci è piaciuto se ci ha fatto sorridere, riflettere, scoprire cose nuove ed interessanti. Un libro ci è piaciuto se ci ha emozionato e magari ci ha fatto scendere anche una lacrima.
Ma da dove nascono le storie?... Le storie nascono dalle idee, e le idee sono come i semi che si piantano nella terra e che poi diventano piante.
Secondo voi, dove è possibile trovare questi semi, ovvero le idee per scrivere una storia?
Le idee per scrivere una storia si trovano nella realtà che ci circonda. Ce ne sono tanti, di semi, solo che spesso sono nascosti e dobbiamo saperli cercare. Non c’è un posto preciso dove trovarli, non è come andare al mercato e comprarli. Così sarebbe troppo facile, e forse anche meno divertente.
Sicuramente le idee per una storia possiamo trovarle in una esperienza che abbiamo vissuto in passato e che decidiamo di raccontare. Questo è successo a me col mio primo libro Solstizi di Primavera. Quando ero studente di scuola media proprio come voi, mi piaceva una ragazza che era nella mia classe. All’epoca ho vissuto un periodo molto bello della mia vita, anche grazie agli altri compagni di classe con i quali tra l’altro mi sono fatto un sacco di risate. Per questo, quando molti anni dopo ho scoperto la passione per la scrittura, i primi semi li ho cercati e trovati andando indietro nel tempo, a quando avevo tredici, quattordici anni. È ovvio che scrivere di ciò che si conosce bene è più facile. Ma è possibile anche farlo con storie completamente inventate, di pura fantasia.
“Okay, Pasquale” mi direte voi. “Ci hai spiegato dove cercare le idee per scrivere una storia, ma hai dei suggerimenti da darci per trovarle, queste idee?”
Allora, per trovare le idee serve innanzitutto spirito di osservazione. Se un giorno decideste di fare gli scrittori, dovrete essere degli abili osservatori e vedere quello che molti non vedono. Ma non basta. Trovare un’idea è soltanto il primo passo; è la lampadina che si accende nella vostra testa e vi fa esclamare: “Ecco, ho trovato. Voglio raccontare una storia che parli di questo.”
E allora iniziate a pensare a quell’idea che vi è venuta in mente. All’apparenza conducete la vostra vita di sempre: studiate, parlate con i vostri amici, giocate e vi divertite. Ma in realtà c’è sempre quell’idea che vi ronza nella mente come una mosca chiusa in una stanza.
Tranquilli, è tutto normale. Siete entrati nella fase due del processo creativo, quella nella quale state elaborando l’idea con la vostra sensibilità. Ecco: questa è un’altra caratteristica che deve avere uno scrittore. La sensibilità, ovvero la capacità di covare l’idea di partenza come fa una gallina col suo uovo per far nascere il pulcino. Voi, in questa fase, fate esattamente questo. Ma ancora non basta.
Se le idee le troviamo nella realtà che ci circonda o nelle esperienze che abbiamo vissuto in passato, non possiamo e non dobbiamo scriverle tali e quali. Bisogna trasformarle, aggiungere altri elementi per renderle diverse, originali e più interessanti agli occhi del lettore. C’è un solo strumento che ci può aiutare in questo, ed è la fantasia. Non esiste uno scrittore che non ce l’abbia.
Dunque ricapitoliamo: ci vuole spirito di osservazione, sensibilità e fantasia. E dopo? E dopo secondo me ci vuole anche un pizzico di malinconia. Desiderare qualcosa che non abbiamo e che vorremmo avere aiuta ad essere più creativi, ci spinge a ricreare quella cosa almeno nella finzione, in quella realtà virtuale dove tutto è possibile.
Ora vi starete dicendo: “Oddio, davvero bisogna avere tutte queste caratteristiche per sperare di diventare uno scrittore?”
Anche adesso vi dico: “Tranquilli, niente panico.”
Scrivere è un’esperienza bellissima, ma di certo impegnativa.
Bellissima, perché?
Pensate: potete vivere non soltanto la vostra vita, ma tante vite, tutte quelle dei personaggi che inventate. Quando scrivo, io mi immedesimo nei miei personaggi: penso come loro, parlo come loro, agisco come loro. Entrano nella mia esistenza; diventano miei amici; li sento vivi, reali, umani. Mi piace pensare che essi si trovino in una misteriosa dimensione, in attesa che io li faccia venire al mondo. E poi, quando scrivete, potete decidere di raccontare una storia che avviene nel presente, ma anche nel passato o nel futuro. Potete decidere di ambientarla in questo mondo o in uno completamente inventato. Certo non c’è da annoiarsi, ve lo garantisco.
Impegnativa, perché?
Perché dovrete essere pazienti e non lasciarvi prendere dalla smania di arrivare subito alla fine. Per scrivere un libro ci vogliono anni, soprattutto se fate un altro lavoro ed il tempo a vostra disposizione è poco. Durante la stesura della storia si incontrano tanti ostacoli, difficoltà a non finire. Ci sono momenti che non sapete come proseguire; che rileggete il vostro manoscritto e vi viene voglia di strapparlo perché non vi piace quello che avete scritto. Spesso avete ben chiara la meta da raggiungere, eppure non riuscite a trovare la strada giusta per arrivarci.
Vi sentite come un esploratore che si è perso nella foresta.
E allora, come se ne viene fuori? Se ne viene fuori soltanto se c’è una cosa: la passione. È lei il motore che vi spingerà lungo le salite più ripide, o la bussola che vi guiderà nella foresta dove vi siete persi.
Scoprire di avere una passione è una cosa che ti cambia la vita. Io, per esempio, ricordo bene quando successe a me. Frequentavo già la facoltà di Ingegneria ed un pomeriggio, mentre studiavo seduto alla scrivania nella mia stanza presa in affitto in una città lontana, ebbi un’ispirazione. Senza pensarci su due volte, presi foglio e penna e scrissi una poesia. Subito mi accorsi che mi piaceva tanto, tantissimo quello che stavo facendo. Al termine rilessi la poesia e mi sembrò un capolavoro, bella come una poesia di Giacomo Leopardi. Ovvio che non era così, ma tanta era la gioia e la soddisfazione che non stavo più nella pelle. Quel pomeriggio avevo scoperto di avere una passione, quella per la scrittura. Ancora non lo sapevo che da allora in avanti tutto sarebbe cambiato nella mia vita: le abitudini che avevo, ciò che facevo nel tempo libero; i miei sogni e le mie speranze. Col tempo ho capito che tante cose posso fare se ci metto passione, cose che non mi immaginavo nemmeno, come starmene a casa a scrivere storie fino a notte fonda, anche d’estate quando fa caldo o nei giorni di festa. Ma mi va bene così: ho cancellato la parola sacrificio dal mio vocabolario ed al suo posto c’ho messo la parola amore. Sì, perché a ben vedere di questo si tratta: di fare le cose con amore. Perciò l’augurio che vi faccio è di scoprire presto una passione bella e pulita. Non la cercate, sarà lei a venire da voi quando sarà giunto il suo momento. Ed allora vedrete che la vostra vita cambierà, proprio come è cambiata la mia.
Dopo quella poesia, ne scrissi altre insieme ai primi racconti brevi.
Ad un certo punto mi dissi: “Sì, va be’. Perché non provo a scrivere una storia più lunga, tipo un romanzo autobiografico?”
L’idea era bella, mi affascinava ma non era certo facile da realizzare. Chi lo aveva mai scritto un romanzo? E come si faceva? Non mi diedi per vinto ed iniziai ad appuntarmi le prime idee; iniziai a pensare alla storia e ai protagonisti; a quello che doveva succedere e dove doveva succedere e quando. Leggevo manuali di scrittura creativa per capirci di più. Si trattava di trovare una scatola grossa, di quelle che vi ho detto all’inizio, per farci entrare qualcosa di più ingombrante.
Subito mi resi conto che se volevo scrivere dovevo fare innanzitutto tre cose: leggere molto, scrivere molto e conoscere la grammatica (quindi studiare). Queste tre cose aiutano tantissimo, sono indispensabili.
Leggere aiuta perché ci fa imparare dai grandi scrittori. Ci fa capire le loro tecniche, i loro segreti, i trucchi del mestiere. Dobbiamo diventare una spugna che assorbe l’acqua. Per esempio, voi per imparare venite a scuola dove ci sono i professori che sanno le cose e ve le insegnano. Ecco: qualcosa del genere succede leggendo i libri dei grandi scrittori.
E poi, se si vuole diventare uno scrittore, bisogna scrivere, scrivere molto e di qualsiasi cosa. Dovete allenarvi proprio come fanno i ragazzi che iniziano a giocare a calcio. Dovete capire in quale ruolo giocare, ovvero quale genere letterario vi piace di più: giallo, horror, fantasy, racconti. Dopo partecipate ai vari campionati e se sarete bravi e fortunati allora potete pensare di giocare con Cristiano Ronaldo. Ricordate quello che vi ho detto prima? Bisogna essere pazienti e lavorare con impegno.
Inoltre, bisogna conoscere la grammatica, l’analisi logica e del periodo per evitare strafalcioni e per non essere paralizzati dal timore di commetterli! Se conoscete le regole della grammatica potete metterle in pratica e anche forzarle un po’ con creatività. Il consiglio che vi do è dunque quello di studiare: uno scrittore deve essere una persona preparata; le sue conoscenze devono spaziare in tante materie, dalla letteratura alla storia, dalla geografia all’attualità. Avere una buona cultura lo aiuta a trovare le idee migliori per le sue storie.
Per iniziare a scrivere vi consiglio di tenere un diario sul quale annotare le vicende che vi capitano, appuntarvi sogni e pensieri. Trovate un posto tranquillo dove scrivere, che ne so: la vostra stanza e cercate di scrivere con regolarità. Andate in giro con un taccuino e quando vi viene in mente un’idea o incontrate una persona che cattura la vostra attenzione per qualche motivo, allora prendete il taccuino e scrivete. Perché le idee sono spesso dispettose: sono sfuggenti, ci compaiono all’improvviso e se non le catturiamo subito poi scompaiono e noi rischiamo di non ricordarcele più. Sapeste la rabbia quando questo è successo a me…
Un poco alla volta, quasi senza accorgervene riempite pagine e pagine di appunti e riflessioni. Ad un certo punto vi domandate se è possibile creare una storia da questi appunti e da queste riflessioni.
È come se vi trovaste in una stanza piena di oggetti dove c’è un grosso disordine e non sapete da che parte cominciare per rimettere tutto a posto.
Allora, la prima cosa da fare è scoprire se c’è un filo conduttore che tiene uniti tutti gli elementi che avete a disposizione. Dovete cioè cominciare a pensare alla trama della vostra storia.
Ma che cos’è la trama?
La trama è l’intreccio degli eventi della storia.
Prendete una maglia ed osservatela con attenzione. Che cosa notate? Che essa è costituita da tanti fili che si intrecciano tra loro. Ebbene, nelle nostre storie gli eventi narrati sono proprio come i fili di una maglia: si intrecciano tra loro e nascono le storie. Se i fili sono di lana, avremo un maglione caldo da indossare in inverno; se i fili sono di cotone avremo una maglia più leggera. Allo stesso modo, se gli eventi trattati nel libro sono allegri e divertenti, avremo una storia allegra e divertente; se gli eventi sono invece tristi o di fantasia avremo una storia triste o irreale. Tutto parte e dipende dal tipo di storia che vogliamo raccontare e dagli eventi che la costituiscono.
Se volete mettere in ordine la stanza della quale vi parlavo prima, dovrete seguire un criterio logico. Sennò rischiate di non venirne a capo: spostate gli oggetti e create solo altra confusione. Quello che voglio dire è che per costruire la trama ci sono delle regole da rispettare. Per fortuna sono poche, perché la creatività non va imprigionata ma va indirizzata. E le regole devono aiutare il talento, se c’è, a venire fuori. Nulla di più.
Ricordate lo scrittore che ad un certo punto non sapeva più come andare avanti nella storia che stava scrivendo? Quello che era un po’ come un esploratore che si era perso nella foresta? Bene: chiamiamo il nostro amico Salvatore lo scrittore esploratore ed immaginiamo che all’inizio si trovi ai piedi di una montagna. Per scrivere correttamente la storia che ha in mente ed evitare di smarrire la retta via, dovrà scalare quella montagna procedendo per tappe intermedie. Ognuna di queste tappe servirà a costruire una buona trama. In questo modo lo scrittore esploratore giungerà su in cima, scenderà sul lato opposto della montagna ed arriverà al termine del suo lavoro.
La prima tappa è quella nella quale non è successo ancora nulla. C’è una situazione di stabilità e Salvatore lo scrittore esploratore deve porsi cinque domande. Chi è il protagonista della storia? Cosa succede nella storia? Dove accadono gli eventi? Quando accadono gli eventi? Perché il protagonista agisce in quel modo? Tutte le storie hanno inizio in un luogo e in un tempo nei quali il protagonista vive la sua vita più o meno serenamente. Il protagonista e gli altri personaggi sono molto importanti perché la trama nasce da loro. Dopo aver trovato le risposte a queste domande, lo scrittore esploratore può partire e, passo dopo passo, giunge alla seconda tappa.
Ora vi domando: “Vi interesserebbe una storia dove non succede niente?”
Certo che no. In una storia deve succedere qualcosa. E che cosa succede di solito in una storia? Succede che il protagonista desidera qualcosa, però tra lui e l’oggetto del suo desiderio c’è un ostacolo che gli impedisce di ottenerlo. Questa è la fase nella quale compare il conflitto, cioè succede un evento che rompe l’equilibrio iniziale e cambia la tranquilla esistenza del protagonista. L’ostacolo da superare può essere legato a fattori esterni, per esempio la mancanza di lavoro di un giovane, o una malattia. Ma l’ostacolo da superare può essere rappresentato anche da fattori interni quali la timidezza, la solitudine o la paura di prendere decisioni importanti. Introdotto il conflitto, lo scrittore esploratore può riprendere il cammino e puntare deciso verso la terza tappa.
Nella terza tappa il conflitto secondo voi che fa? Scompare o diventa più forte? Se scomparisse, la storia finirebbe perché non ci sarebbe più niente da raccontare. Allora, se Salvatore vuole continuare a salire lungo il versante della montagna che sta scalando, non solo non deve risolvere il conflitto ma anzi deve renderlo più complicato.
E così, cammin facendo, il nostro amico giunge finalmente in cima alla montagna. Ma la sua meta è ancora lontana. È soltanto giunto a quello che in narrativa si chiama climax. Il climax o punto di svolta corrisponde al momento di massima tensione posto spesso come apice di una serie di eventi e che anticipa la fine o scioglimento della vicenda. In un film, il climax sarebbe la scena finale, quella più bella ed avvincente.
Passata la cima della montagna, lo scrittore esploratore scivola giù, verso valle. Questa fase è chiamata scioglimento ed in essa il protagonista della sua storia può essere soddisfatto di ciò che ha fatto, oppure deluso dall’esperienza che ha vissuto e perciò convinto che tutti i suoi sforzi saranno sempre bloccati dal destino.
Poi si giunge all’ultima tappa del percorso, alla conclusione dove viene ristabilito un nuovo equilibrio, migliore o peggiore del precedente poco importa. Salvatore lo scrittore esploratore avrà raggiunto la sua meta e potrà dire di aver scritto una storia con una trama solida e convincente.
Ma avrà ancora da lavorare. Ha soltanto terminato la prima stesura del suo romanzo.
Ora vi domando: “Cosa fate quando, durante il compito in classe di Italiano, avete finito il vostro tema? Lo consegnate così come lo avete scritto, o lo rileggete per correggere eventuali errori e cambiarlo qua e là?”
È chiaro che lo rileggete, e lo riscrivete pure in bella copia perché il foglio che avete in mano è pieno di segni, cancellature, rimandi. Insomma, è una specie di cartina geografica nella quale anche voi rischiate di non capirci molto.
Uno scrittore quando finisce di scrivere la prima stesura di un romanzo fa esattamente la stessa, identica cosa: lo rilegge dalla prima all’ultima pagina. Elimina le parti inutili della storia per far risaltare quelle importanti; va alla ricerca di errori, di sviste, di contraddizioni. Non può dire, per esempio, che un personaggio in un capitolo ha i capelli neri, e poi in un altro capitolo affermare che ha i capelli rossi. Il lettore se ne accorge e rimane deluso. E il rischio qual è? Che per colpa di questa delusione il lettore chiuda il libro e smetta di leggerlo. Quindi, dopo la prima stesura, inizia quella che si chiama revisione critica o editing, come dicono gli inglesi. Questa fase, per quello che vi ho detto, è molto importante ed impegnativa. Non c’è un tempo preciso per la revisione. Ci sono scrittori che prima di pubblicare i loro libri hanno passato anni ed anni a correggerli e a migliorarli.
Nell’ultimo romanzo che ho pubblicato, un fantasy intitolato Intrecci di mondi paralleli, la revisione è durata ben un anno e mezzo. Io considero la revisione finita quando mi accorgo che mi limito ad aggiungere o a togliere una virgola, o a cambiare una parola con un suo sinonimo. Ripeto: la revisione è una fase molto impegnativa, ma anch’essa si ricollega alla passione della quale vi ho parlato prima. Io non definirò mai i miei libri fatiche letterarie. Per me scrivere è una passione, non una fatica. La soddisfazione più bella che ho è quando un mio lettore mi dice: “Sai, Pasquale. Ho letto il tuo libro e mi è piaciuto. Mi sono emozionato.”
Caspita, per me questo è bellissimo: regalare un’emozione a chi legge le mie storie.
Ci sarebbero altre cose da dire sulla scrittura creativa ma entreremmo in aspetti troppo tecnici che rischierebbero di annoiarvi.
Grazie per l’attenzione, ragazzi. A presto!